6
Lug
2010

Banche zoppe, troppo Stato e la Germania tricolore

Ogni tanto bisogna riepilogare qualche numero, per capire dove stiamo andando come Italia, Europa e mondo. In sintesi estrema, i numeri seguenti mostrano tre cose. Che lo squilibrio bancario da cui la crisi è nata è lungi dall’esser riassorbito. Che, per reazione, c’è troppo Stato. E che, in piccolo, in Italia a guardare i numeri si dovrebbe capire e sapere da chi prendere esempio.

Cominciamo ancora una volta dalle banche. L’Europa si interroga sull’ampiezza della lista degli istituti che vanno sottoposti a stress test, e non è un mistero che le banche tedesche mirano a comprendervi il minor numero possibile di Landesbanken pubbliche – i cui attivi patrimoniali sono ancora i più scassati in Europa, se mi passate il termine colorito – e a non voler dare pubblicità ai risultati. La stima di R&S di Mediobanca ci fa capire perché i guai son ben lungi dall’essere alle nostre spalle. La valutazione per i maggiori istituti è che negli States ancora 6 mesi fa i crediti dubbi fossero pari al 5,3% del capitale netto tangibile e gli attivi di livello 3 – quelli meno solvibili – pari a ben il 69,2%, per una somma totale del 74,5% del capitale netto. In Europa la situazione non è affatto migliore. I crediti dubbi sono pari al 29,7%, gli attivi livello 3 al 52,3%, per un totale dell’82%. E attenti all’Italia: crediti dubbi pari a un elevatissimo 33% del capitale netto e in ulteriore rapido peggioramento, mentre per fortuna gli attivi livello 3 sono bassi al 15,6%, per una somma totale del 48,6% che continua a testimoniare non certo la buona salute delle banche italiane in assoluto, ma comunque una patologia meno grave rispetto a quelle dei Paesi avanzati.

Sono figli di questo persistente squilibrio bancario, i 13,7 milioni di disoccupati aggiuntivi nei Paesi OCSE dal 2008 al primo trimestre 2010 incluso ( e la stima è molto conservativa, non comprende gli scoraggiati al lavoro perché altrimenti la cifra sarebbe più che doppia, quasi tripla). E’ essenzialmente sempre dal macrosquilibrio bancario, che è dipeso il fatto che gli USA siano passati dal 62% di debito pubblico sul Pil nel 2007 al 92,6% a fine 2010, che diventerà senza tagli un 110% nel 2015, e che le analoghe percentuali per l’euroarea siano salite dal 65% del 2007 all’84% nel 2010, e in prospettiva al 95% nel 2015.

E’ ancora per la stessa ragione, che la graduatoria mondiale dei maggiori campioni nazionali ha visto l’anno scorso lo Stato compere un balzo in avanti, proprietario di metà dei primi 14 gruppi per capitale investito, anzi metà più uno se a tutti gli effetti consideriamo di controllo la quota della Bassa Sassonia in Volkswagen, che è seconda dopo Shell (public company), come pubbliche sono la terza, EdF, la quarta, ENI, la sesta, Statoil, e poi ancora la cinese CNPC, la russa Gazprom, la venezuelana PDV e la brasiliana Petrobras.

E’ un mondo cambiato nelle gerarchie e geografie produttive, quello post crisi. La Cina è diventata nel 2009 prima potenza mondiale col 21,5% del prodotto industriale globale, gli USA sono secondi al 15% perdendo 10 punti sul 2001, il Giappone terzo quasi dimezzando all’8,5% il 15% del 2001. Poi la Germania, al 6,5%. E quinta l’Italia, al 3,9%, ben sopra Francia, Corea del Sud, India, Brasile e Uk. Ma, sorpresa, se andiamo a esaminare il peso del manifatturiero nell’export mondiale del G10, tutti i Paesi avanzati hanno perso a rotta di collo posizioni in valori, tranne due soli: la Germania naturalmente, che è l’unico Paese G10 con il suo 8% a guadagnare nettamente in bilancia dei pagamenti e commerciale. E, sorpresa, l’Italia, che passa dal 4,7 al 4,9%, nei 20 mesi più terribili di crisi.

A dimostrazione che le 4mila imprese del quarto capitalismo, le 8mila che fanno da sole l’80% dell’attivo commerciale manifatturiero italiano, le 20.500 che sono internazionalizzate e cioè presenti con propri insediamenti diretti in almeno due altri Paesi, e le oltre 150mila imprese italiane che lavorano nelle loro filiere, malgrado tutta la crisi di cui giustamente osserviamo i numeri sono riuscite a fare come la Germania. Malgrado le 4mila medie imprese italiane del campione Mediobanca paghino un tax rate reale pari al 48,3% del proprio reddito lordo d’impresa, rispetto al 25,8% delle loro pariclasse germaniche e al 25,6% delle omologhe spagnole.

Malgrado 23 punti di pressione fiscale in più, malgrado i sovraccosti amministrativi, energetici, infrastrutturali e logistici e il maggior costo del capitale, quella è già la parte d’Italia che – anche nella peggior crisi del dopoguerra – è stata capace di risultati come la Germania, meglio della Germania. E’ il resto d’Italia, a non tenere il passo. Ma questi numeri ci dicono con chiarezza, a chi dobbiamo guardare per uscirne. Se politici e sindacati avessero vioglia di capirli, invece di continuare a invocare più tasse , più Stato è più tutele.

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13 Responses

  1. Post stupendo.
    1) a proposito delle imprese italiane, ogni volta che sento parlare del problema della loro dimensione e del fatto che sono troppo piccole al confronto delle Grandi Corporate internazionali, MI VIEN DA RIDERE. Da lavoratore in una grande azienda in continuo contatto con piccole e medie imprese della rete dei clienti, SO quanto la flessibilità produttiva delle nostre aziende è capace di dare; una flessibilità che, per vari motivi, le grandi aziende non possono dare ma che risulta sempre necessaria nella vita reale. Spero che questo argomento sia approfondito prima o poi nel suo blog.
    2) lei scrive “gli USA siano passati dal 62% di debito pubblico sul Pil nel 2007 al 92,6% a fine 2010, che diventerà senza tagli un 110% nel 2015”. Ho letto nella blogosfera stime ben più pessimistiche sul rapporto debito pubblico/pil degli Stati Uniti. Potrebbe circonstanziare meglio questa affermazione? grazie.
    3) i crediti dubbi e gli attivi di livello 3 delle banche italiane sono ripartiti uniformemente tra tutte le banche o sono concentrati su alcune banche in particolare? faccio questa domanda anche se non so se sia possibile avere una risposta.

    Con stima.
    azimut72

  2. E’ triste che la trasparenza bancaria – che ragionando in termini di asymmetric information dovrebbe essere un must per avere mercati efficienti (come scrisse già Hayek nel 1929 in conclusione al suo “Monetary theory and the trade cycle”) – sia avversata proprio perché rivelerebbe che la situazione è peggiore di quanto ai politici (pardon, alle autorità “indipendenti” di politica economica”) piace far credere.

    Però in fin dei conti ha una sua logica: in un sistema economico fondato sul moral hazard, dove cancellare i sintomi della crisi passa per politica anticiclica anche quando ne rafforza le cause, dove parlare di perdite e fallimenti è considerata una forma di alto tradimento, continuare a fingere di star bene – o usando un eufemismo a fare “regulatory foreclosure” è semplicemente l’ultima frontiera della politica monetaria ed economica.

    Esattamente come rendere il discount window lending anonimo riduce la stigma (cioè aumenta le asimmetrie informative e genera quindi un boom da moral hazard), cosa che è stata implementata con il TAF, nascondere la polvere sotto il tappeto è ormai una pratica consolidata nella politica economica, accanto all’assicurare liquidità, comprare passività, assicurare depositi, regalare riserve a tasso zero, e generare passivi pubblici enormi.

  3. stefano

    Articolo brutalmente stupendo! Grazie.
    “Se politici e sindacati avessero vioglia di capirli, invece di continuare a invocare più tasse , più Stato è più tutele.” : anche qui propendo per l’iniezione letale. Di massa, questa volta.
    Perché altrimenti questi galantuomini mica mollano la presa.

  4. Beppe

    Ma al di là del realismo del post, come pensiamo se ne verrà fuori?
    Sono l’unico a sentirmi come congelato, sia sul lavoro, sia in generale sulla situazione dell’Europa o dell’occidente?
    Credo ci siano pochi dubbi che la crisi sia causata da un eccesso di finto sviluppo generato da veri debiti (privati e pubblici). Credo anche sia ormai evidente che il finto sviluppo ha mascherato agli occhi della maggioranza la perversione di sistemi statali/sociali elefantiaci che hanno accollato sempre più sulle minoranze produttive tutta una serie di costi superflui…si potrebbe dire lussi, se non fosse per il fatto che uno i lussi se li dovrebbe poter scegliere. Qui però andiamo dai cinematografari sovvenzionati per mancanza di pubblico, ai 10 medici per paziente di alcuni ospedali del sud, ai pensionati baby o teen mantenuti per 50 anni con contributi per 20-30, fino al generico lusso del dipendente pubblico che non può essere licenziato nemmeno quando la sua opera non è più richiesta, con conseguenti lamenti sui “costi del federalismo” perché “dove mettiamo i dipendenti statali le cui mansioni passeranno alle regioni?”
    Il finto sviluppo è morto, ma un’attività normale nei ritmi e nelle aspettative (ovviamente non parlo dei livelli di consumo 2007 che senza debito non si vedranno per un bel po’ di anni…) è ancora lontana. Gli ordini arrivano a singhiozzo e nessuno si fida di “fare magazzino” per cui ad ogni ordine si va in crisi, assillando i fornitori e facendo i salti mortali per consegnare in tempo, pur avendo un’attività media scarsa.
    Di fronte a tutto questo, quando mi pare superevidente che a fronte di debiti eccessivi sia necessaria una restituzione dove possibile (con conseguente riduzione ulteriore dei consumi per il tempo necessario) e un default con perdite sui prestatori negli altri casi, cosa fanno i governanti? Prima spostano parte dei debiti sul pubblico, come se ciò non significasse scaricare le conseguenze dai responsabili (debitori incoscienti e prestatori imprudenti) ai tax payers. Ok, si voleva ammorbidire un po’ l’atterraggio, mi sono detto lo scorso anno. Poi si accorgono che il mondo non è idiota e chiede pure agli stati (ma pensa!) di rientrare sul debito e allora che fanno? Uno si sarebbe aspettato un “Vabbè, avete ragione…abbiamo attutito un po’ il colpo, ma ora basta: lasciamo che i responsabili se la vedano fra loro e che dopo lo shock il resto della società possa RIPRENDERE A CAMMINARE.” Invece no. Lanciano il fondo per i PIGS e iniziano il balletto dei tagli.
    PERCHE’ BALLANO COSI’ A LUNGO?
    Non si rendono conto che da una sberla secca ci si può riprendere, ma che mesi o anni di apnea ti sbarellano completamente?
    Tremonti arriva a dare dei cialtroni agli amministratori meridionali, ma poi non fa nulla e aspetta che siano i presidenti di regione a mettersi d’accordo, probabilmente perché pensa che 8-10 rivolte nelle regioni meridionali siano meno gravi di una sola rivoltona. I presidenti di regione ovviamente pensano il contrario e qui al nord ci chiediamo come fare a non farci fottere di nuovo, anche perché non ne abbiamo più.
    Ma pensano davvero che si possano dimezzare i trasferimenti a metà delle regioni italiane senza conseguenze? Si aspettano che Bersani li aiuti votando i tagli alla PA con loro? Si aspettano che Caldoro dica ai suoi elettori “ragazzi la festa è finita”?
    Come pensate che si svolgerà la resa dei conti? Obiezione fiscale di massa nelle regioni del nord? Assalto al comando dei famosi forestali siciliani? Operai licenziati che randellano filosofi “precari”? Probabilmente nulla di tutto questo, ma allora, cosa?

  5. bell’articolo di Giannino, chiaro e crudele. la risposta di Monsurrò chiarisce ancor di più le magagne. nonostante tutto, continuo a pensare che l’eurozona stia in posizione migliore degli states per i prossimi anni. la Bce ha fatto il suo sporco lavoro, ma senza le follie della fed. per i prossimi anni tifo euro. e aspetto un nuovo governo in italia a breve. ce ne vorrebbe uno di matti scatenati… chissà…

  6. Sergio Faglia

    Complimenti, articolo crudele ma lucido. Vorrei porre una domanda: si possono avere analoghi dati del sistema bancario Svizzero? Anticipatamente ringrazio per l’eventuale risposta.

  7. michele penzani

    Bello davvero l’articolo, aggiungendo anche :” malgrado la normativa commerciale europea e annessi e connessi sgambetti dei nostri partner…Tedeschi in primis”.

    Complimenti davvero anche al sig.Monsurrò.

  8. Nikolai Alexandrevic Pugachov

    Con quei 17 milioni di posti da lavoro distrutti in area OCSE mi sembra si stia facendo di tutto per non ammettere che il turboliberismo globale ha fallito su tutta la linea. Quella cifra è più eloquente e tombale di mille trattati. Certo, potremo proseguire sulla strada del deterioramento progressivo per ritrovarci ad essere tra qualche lustro una sorta di enorme favela di disperati storditi e senza speranza, continuando a teorizzare i futuri radiosi benefici di un bengodi che appunto sarà sempre futuro. Non è forse meglio ipotizzare qualche altro modello?

  9. @Nikolai Alexandrevic Pugachov
    Come deve essere fatta una politica monetaria liberale? L’opposto di come è stata fatta dalle banche centrali negli ultimi venti anni.

    Come deve essere fatta una politica fiscale liberale? L’opposto di come è stata fatta dai governi negli ultimi venti anni.

    Come deve essere fatta una politica immobiliare liberale? L’opposto di come è stata fatta da Fannie e Freddie negli ultimi venti anni.

    Dov’è questo turboliberismo? Io non lo vedo. Io non vedo spese pubbliche che scendono, non vedo conti pubblici in pareggio, non vedo mercati finanziari liberi da FDIC, Fannie, Freddie, TAF, TARP & Co., non vedo politiche monetarie basate sulle rules anziché sulla discretion.

    Diciamo quindi che il mondo è liberista, con l’esclusione di moneta, politiche immobiliari e politiche fiscali? E che rimane?

    Per non parlare dell’Italia… dovremmo aggiungere infatti la mancanza di stato di diritto, le protezioni delle corporazioni professionali, le limitazioni alla concorrenza, la rigidità del mercato del lavoro, gli aiutini agli imprenditori amici, le avventure finanziare e imprenditoriali degli enti locali…

    Ma insomma, dov’è questo fantomatico neoliberismo? Qualcuno lo ha mai visto?

  10. cesare b.

    @Nikolai Alexandrevic Pugachov

    Concordo al 100% con quanto scritto dal dott. Monsurrò.

    Diciamo quindi che una radice oligarchica gestisce e governa un mondo che si illude di essere liberista.
    E nel concetto di oligarchico si fa rientrare comodamente l’ingerenza dello Stato nella vita economica nazionale ed internazionale (oltre all’ingerenza di gruppi di potere di natura privatistica che legano il mercato).

    A questo punto, sig. Nikolai, occorrerebbe un nuovo modello che implementasse una correlazione stretta tra “parametri dimensionali e sistemi di controllo”: più riesci a crescere sul mercato e più controlli ci costringi a farti, perché aumenta il rischio che le nostre sorti dipendano sempre di più dalle tue sorti.

    (Il mio professore di economia industriale parlava di rischi di “bagni di sangue” correlati alla spregiudicata crescita dimensionale di un soggetto economico-finanziario).
    In particolare, se si fosse seguito quel modello, non pochi investitori oggi non bestemmierebbero contro Parmalat, Lehman, …

    Ed è poi un modello che recupererebbe il principio di “responsabilità” e le teorie di Adenauer, delegando lo Stato a mero arbitro del gioco chiamato “libero mercato”
    http://www.kas.de/wf/de/71.7697/

  11. bill

    Turbocapitalismo? Se, come evidenziato, le più grandi compagnie nel mondo sono in mano agli stati, che cos’è il turbocapitalismo?
    In Italia, poi? Mah, il mondo è bello perchè è vario..io vedo solo un tubostatalismo (ovvero statalismo del tubo), che ci sta portando verso un disastro annunciato. E neanche tanto lentamente.

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