29
Gen
2011

Bad company Italia

Intervengo ancora sul tema del debito pubblico, dopo l’ottimo post di Oscar, segnalando il mio stupore per le numerose personalità che hanno in maniera superficiale avvalorato l’idea che un’imposta patrimoniale consistente sia soluzione praticabile e consigliabile per aggredire il problema del debito. Ritengo infatti che non sia praticabile e che in ogni caso sia sconsigliabile per una molteplicità di motivi. Quello principale consiste nel fatto che il problema non è lo stock del debito, il cui ammontare leggiamo sul tassametro qui in alto a destra. Pur  consistente in valore assoluto (il terzo al mondo a pari merito con la Germania) e in percentuale del Pil, non è il debito il problema bensì il fatto che esso continui a crescere nel tempo.

Poichè il suo gradino annuale di crescita è il fabbisogno (i pagamenti della PA  che non possono  essere finanziati dagli incassi), è proprio il fabbisogno (principalmente determinato dal disavanzo di bilancio della PA) il vero problema. Ma anche il fabbisogno non sarebbe un gran problema se il Pil (non quello con la U finale che va tanto di moda in questo periodo) crescesse a velocità adeguata. Invece il fabbisogno annuo è un multiplo della crescita (in valore assoluto) del Pil nominale, 2,3 volte nel 2010, prevedibilmente 2,0 nel 2011. In tal modo il rapporto debito/pil risulta in continua crescita e sta ritornando al 120% della prima metà degli anni ’90. Per arrestarne la crescita il rapporto fabbisogno/pil dovrebbe stare al di sotto del 120% e per avviarne la convergenza al 60% richiesto da Maastricht dovrebbe stare non al di sopra del 60%.

In sintesi si può sostenere che la finanza pubblica italiana soffra di un grandissimo problema e che questo problema si chiami (mancata) crescita. Per risolvere il problema di finanza pubblica occorrerebbero quindi maxi  riforme  pro mercato, non maxi patrimoniali, ad esempio liberalizzare (anche) i mercati (non solo i costumi). In attesa che si risvegli la crescita del Pil bisogna tuttavia rallentare la crescita del  debito. I governi degli anni ’90 usarono come strumento le politiche di privatizzazione: vendere asset pubblici, non asset privati, per evitare debito pubblico. Purtroppo anche il termine privatizzazione sembra essere stato depennato dal vocabolario economico dell’Italia contemporanea. Qualsiasi soggetto eccessivamente indebitato cercherà di ridurre i propri debiti cedendo asset patrimoniali suoi, solo gli stati sono in grado di espropriare allo scopo asset altrui (*).  E’ il gioco delle due tasche della giacca, citate da Tremonti all’Ecofin di inizio autunno: nell’una c’è il debito pubblico, nell’altra la ricchezza, quella privata, però.

[(*) Immaginiamo questo dialogo surreale di fronte a un funzionario di banca al quale stiamo chiedendo un prestito: (Domanda) Quali asset può dare in garanzia? (Risposta) L’appartamento del mio vicino. Tradotto in lingua statalista diventa così: (Domanda al ministro del Tesoro da parte dei mercati finanziari) Quali asset può dare in garanzia dell’elevato debito pubblico? (Risposta) Gli appartamenti dei miei contribuenti.]

La metafora delle due tasche della giacca suggerisce che la seconda tasca garantisce la prima e che, in caso di necessità, si possono sempre effettuare travasi (che vanno sotto il nome di patrimoniali). Nessuno ricorda invece la terza tasca, quella nascosta di Tremonti che contiene gli asset pubblici e che funziona solo in entrata, mai in uscita (ultimamente c’é entrata una banca). Nessuno sostiene che l’impresa pubblica semplicemente non ce la possiamo più permettere, che i politici che si dilettano a fare gli imprenditori con i soldi dei cittadini non sono più ammissibili, che contribuenti e consumatori starebbero molto meglio se la mano invisibile di Adam Smith (il mercato di concorrenza) fosse in grado di svuotare la tasca invisibile dove sono gelosamente celate imprese pubbliche senza efficienza.

Ma bad policy (patrimoniale) e good policy (privatizzazioni di imprese pubbliche e di immobili non utili per le attività pubbliche) sono comunque provvedimenti  non necessari e non sufficienti per risolvere il problema  della finanza pubblica. L’unico risolutivo è il pareggio di bilancio (è tollerabile in realtà un disavanzo sino all’1% del Pil), grazie al quale il rapporto debito/pil risulterebbe continuamente in diminuzione nel corso del tempo. Senza il pareggio di bilancio tanto la maxipatrimoniale quanto maxi privatizzazioni non risulterebbero risolutive, dato che dopo di esse il debito riprenderebbe a salire come prima (e forse anche di più). Con pareggio di bilancio permanente e privatizzazioni potremmo invece far diminuire non solo il rapporto debito/pil ma anche lo stock del debito, realizzando un notevole riordino della finanza pubblica.

Un bilancio pubblico stabilmente in pareggio (come si è vincolata a realizzare la Germania attraverso norma costituzionale) avrebbe l’effetto di mettere in quarantena il problema del debito pubblico elevato e di non rendere necessario alcun drastico intervento su di esso. Non si può tuttavia realizzare aumentando di cinque punti la pressione fiscale (*), bisogna metter mano con provvedimenti strutturali alla spesa pubblica, cosa che non è avvenuta neppure nei momenti più critici della nostra finanza pubblica (la crisi del 1992-93 e l’esame di ammissione a Maastricht del 1996-97).

[(*) La pressione fiscale italiana effettiva, calcolata come rapporto tra il gettito fiscale e il Pil emerso, è già la più alta dell’universo, salvo che vi sia vita sul pianeta di recente scoperta Gliese 581d e una pressione superiore al 54% attuata dal collega extragalattico di Tremonti, oppure che vi sia una consistente economia sommersa in Danimarca, che è il paese al secondo posto al mondo per pressione fiscale (prima di correggere anch’essa per il sommerso). C’é del nero in Danimarca? Molto difficile credere che sia tale da scalzare l’Italia dal primo posto nella classifica mondiale della pressione fiscale effettiva.]

Come si fa a intervenire in maniera strutturale sulla spesa pubblica (superando l’approccio finanziario e il metodo dei tagli che nulla risolve)? E’ realtà molto semplice. Basta rovesciare l’attuale modello organizzativo pubblico, consistente in una molteplicità di organizzazioni, agenzie, uffici per i quali il sistema delle tasse garantisce che possano pagare i fattori produttivi che usano. Queste organizzazioni, agenzie e uffici, pur restando pubblici, possono essere resi autonomi, separati tra di loro e da chi li finanzia, messi in concorrenza e pagati per i servizi che effettivamente producono anzichè per i fattori produttivi che consumano. Si tratterebbe in sostanza di prendere dall’economia di mercato due dei tre elementi chiave che la caratterizzano: l’uso del sistema dei prezzi e la concorrenza, senza necessità di adottare anche il terzo, la proprietà privata. Organizzazioni pubbliche in concorrenza tra di loro, finanziate sulla base della quantità e qualità di quello che producono, sarebbero indirizzate sulla via dell’efficienza e poste di fronte al rischio di procedure di fallimento/liquidazione/accorpamento in caso di performance non adeguate. Nel caso dei servizi pubblici a domanda individuale, che sono circa i due terzi del totale, l’ideale è che sia il cittadino-consumatore a pagare direttamente il prezzo utilizzando un’equivalente riduzione delle tasse e, in caso d’incapienza, trasferimenti pubblici ad hoc o vouchers.

Questa riforma avrebbe il vantaggio di sottrarre cospicue risorse a chi sinora ha effettuato scelte inefficienti senza subirne conseguenze (classe politica e dirigenza pubblica ad essa sottoposta) e di ridarle ai cittadini i quali hanno un forte incentivo, l’interesse personale, a usarle in maniera corretta e a non sprecarle. I sostenitori della patrimoniale vanno invece nella direzione opposta, la ‘ricapitalizzazione’ di una classe politica impreparata e inefficente (*). Probabilmente senza rendersene conto stanno proponendo una ‘soluzione Alitalia’ da applicarsi a tutto lo stato attraverso la creazione di una ‘bad company’ che verrebbe spalmata sui contribuenti attraverso la maxipatrimoniale e in una ‘good company’ che verrebbe riaffidata alla stessa classe politica di prima. Non è difficile prevedere che l’aggettivo good sarebbe destinato a evaporare in pochissimo tempo. Basta guardare agli effetti delle ricapitalizzazioni Alitalia attuate nel decennio 2000: dopo ognuna di esse la compagnia ha regolarmente aumentato le perdite di esercizio.

(*) E’ come ricapitalizzare il figliol prodigo pensando che possa essere un viatico sulla strada della frugalità.

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15 Responses

  1. Ottimo articolo. Riguardo le idee per rendere più concorrenziali i dipartimenti pubblici, ci sono libri che ne parlano in dettaglio? Mi sembra un’ottima idea infatti e ci avevo pensato giusto pochi giorni fa, ma non saprei dove approfondirla.

    O.T., ho sentito il suo intervento a Roma il 5/1 e mi è piaciuto molto.

  2. Bravo Arrigo ma come facciamo noi cittadini a pretendere che si vada nella direzione da ella indicata? E’ secondo lei immaginabile che Chicago Blog si faccia promotore di una INIZIATIVA POPOLARE quale ad esempio una proposta di legge, un referendum od anche un semplice sondaggio per verificare l’opinione degli italiani ed il relativo livello di consapevolezza del PROBLEMA?
    Comunque ha ragione lei il vero nodo da sciogliere e’: COME RIDURRE LA SPESA DELLA PA e non “rifinanziare la bad company”, ma per ottenere questo risultato i cittadini, sopra tutto quelli abbienti, dovrebbero a mio avviso fare un passo concreto in tal senso e parallelamente pretendere le necessarie riforme strutturali.
    Alcune mie proposte in merito sono reperibili in internet:
    “DIALOGHI AL CAMINETTO CON IL SIG. ENNIO”
    “SE GESU’ FOSSE TREMONTI…”
    http://www.segesufossetremonti.blogspot.com
    Grazie per la consueta ospitalita’

  3. Massimo Faccioli pintozzi

    Concordo con la prima parte del suo intervento, meno sulla modalita’ prospettata nella seconda parte. “rovesciare l’attuale modello organizzativo” deve voler dire, a mio parere, superare lo Stato del benessere “welfare State” e riproporre lo Stato liberale. Il primo ha portato solo danni (anche comunismo e nazismo etc) in quanto i cittadini hanno rinunciato alle liberta’ in cambio di tutele e garanzie sempre piu’ onerose e insostenibili. Da qui spesa pubblica insostenibile. Occorre lavorare pertanto per una riproposizione dello stato liberale che non puo’ non ripartire dalla modifica di alcuni articoli della costituzione (art 1 rinvio alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e all’assetto federale; art 81 da allineare al corrispondente articolo della costituzione tedesca). al legislatore ed all’esecutivo devono essere posti dei limiti e questi vanno posti nella carta costituzionale. In caso contrario continueremo con il “grande appalto” di attivita’, tutele etc da parte dello Stato a favore dei partiti.(lo Stato dei Partiti, e non certo dei cittadini). non voglio dilungarmi e grazie per l’attenzione.
    Massimo Faccioli Pintozzi

  4. Fabio

    Bell’articolo. Quasi completamente condivisibile. Rimarrebbe sempre la solita domanda : come renderlo possibile ? Attraverso l’attuale sistema bloccato dallo strapotere delle stesse classi parassitarie che vivono sulle inefficienze dello stato ? Oppure attendere una “Conversione sulla via di Damasco” della nostra inamovibile classe politica ? Potremmo anche tentare un bel pellegrinaggio a Lourdes, chissà, la Madonna potrebbe fare il miracolo.
    In attesa di risposta a questa piccola, ma essenziale domanda, cordialmente saluto

  5. Lepierre

    Nella mia zona esistono centinaia di microcomuni di 2-3-400 abitanti con tanto di municipio, scuole, edifici plifunzionali ecc. Tutti ovviamente con giunta al completo, dipendenti e spese di manutenzione e riscladamento (sì, in zona montana conta molto). L’apoteosi si verifica quando questi debiti-comuni si trovano adiacenti a 2 o 3 km da altri di 5000 abitanti.
    Non pensate che la ristrutturazione della spesa statale debba partire dal fondo? dal suo più piccolo atomo ovvero il comune (in questo caso inutile)?
    Accorpare i microcomuni e venderne gli immobili non gioverebbe? e in che percentuale?

  6. Andrea

    Concordo con il validissimo Arrigo per il quale tanto una maxipatrimoniale quanto una maxiprivatizzazione non risolverebbero, di per se, alcun problema… Il tosorone così raccimolato verrebbe usato quale becchime per i polli e ben presto disperso (tesoretto docet).
    Peraltro penso che la divisione fra bad company and good company Italia debba essere considerata su base georafica…non altro. Credo che questa sia l’unica via che permette di intervenire finalmente sulle spesa pubblica e sulla tassazione, che può realizzare un vero ricambio della classe politica e della dirigenza pubblica, che può mettere nel mirino obbiettivi, per ora fuori portata ma necessari, come crescita e pareggio di bilancio. Ma onestamente non voglio augurarmi anche per noi un egypt time… Tertium non datur

  7. è vero, e non è una questione ideologica, che uno stato dovrebbe essere in pareggio, fra entrate ed uscite, ma non per interventi straordinari ma, invece, per un equlibrio intrinseco, fra prelievo fiscale giusto e spesa non clientelare e ben utilizzata

    ma, e questo chiedo agli estensori di questo interessante blog, c’è la questione, che non mi pare analizzata, dell’interesse sul debito

    in pratica, lo stato non spende molti soldi solo per erogare ai cittadini i suoi servizi, ma moltissimi li spende per pagare gli interessi dei soldi che ha preso a prestito; quindi, per fare un esempio, è costretto a tagliare sulla sanità per remunerare chi, con pieno diritto, riscuote le cedole dei propri titoli; insomma, è costretto a tagliare risorse verso i meno abbienti a favore di giusta, ripeto giusta, remunerazione di chi i soldi ce li ha

    quindi, a questo punto disastroso in cui siamo, spremere ancora verso i servizi al cittadino (conosco scuole dove i bidelli comprano di propria tasca le scope, perchè i soldi non ci sono, tanto epr far eun piccolo esempio) non darà alcun effetto duraturo, perchè i debiti ormai sono un gorgo senza fine

    secondo me, senza un default tipo argentina, cioè i soldi lo stato non li restituisce più, non se ne esce

    per questo che, seppur schifosetta, la patrimoniale sarà una scelta obbligata, solo che probabilmente il cerino acceso rimarrà in mano ad un altro schieramento politico

    questo penso, ovviamente da cittadino comune, da piccolo imprenditore non esperto di finanza, e chiedo venia per il ragionamento terra terra

  8. Marco da Osimo

    Purtroppo come dice sempre Oscar Giannino, chi la pensa come noi è minoranza nel paese.

  9. Hi, Mr. Arrigo.
    Lei non offre la soluzione, ovvero “ghigliottinare” un milione di dipendenti della PA. Come Raul Castro(=0,5M), come Cameron, come tanti altri.
    Ogni altra proposta è solo un pavida dilazione.
    Infatti in sicilia esistono 11 dipendenti pubblici contro 1 solo in Veneto e Lombardia.
    Ad esempio non possiamo salvare una pantegana solo perché anch’essa è una creatura di dio. TUTTE le cellule tumorali vanno annichilite anche se espressione della vita.
    Allo stesso modo qui siamo su un fuscello, in un mare tempestoso, ma carico di pantegane.
    Dobbiamo eliminarle.
    Oggi, una legge escatologica vieta il licenziamento degli statali.
    Domani, una legge scatologica consentirà di licenziarli.
    Altrimenti perirà Sansone…con tutte le pantegane.
    Serenissimi Saluti in attesa della secessione.
    Martino

  10. romain

    il primo passo verso il contenimento della spesa pubblica sarebbe eliminare gli enti inutili, ma siccome questo non è possibile, il primo passo è non creare più nuovi enti inutili, come invece è stato fatto con le province (enti inutili e costosi) che non solo non sono state eliminate me se ne sono create decine e decine di nuove in questi ultimissimi anni (tanto che Feltri ha fatto la sua battuta: “visto che le province sono ineliminabili, allora aboliamo le regioni!” – ma scherzava, ovviamente)

  11. erasmo67

    QUando si parla della questione fiscale a (praticamente) tutti vengono in mente le tasse, ovvero come lo stato recupera le risorse. Normalmente la mente non si rivloge invece all’altro lato della medaglia che è di gran lunga il più importante ovvero il lato della spesa.

    Perchè i criteri del prelievo sono per molti versi costretti da vincoli difficilmente superabili, inoltre l’aspetto del prelievo è ovviamente molto monitorato essendo quotidianamente sotto gli occhi di tutti i cittadini.

    E’ invece sul lato della spesa che si genera la catastrofe dei conti pubblici, nel modo meno chiaro e trasparente possibile.

    Il denaro pubblico è sempre stato quello peggio gestito in assoluto, poichè i criteri di spesa di chi non utilizza denaro proprio o di chi comunque non risponde mai del buon utilizzo del denaro sono quantomai lassisti quando anche quando rientrano nella legalità.

    Ma ben sappiamo quanto denaro pubblico finisce in corruzione concussione peculato e malversazioni dei pubblici amministratori e clientes. Ed anche sul versante della lotta alla corruzione l’impegno non sembra stoico.

  12. Ugo Arrigo

    Ho letto rapidamente i numerosi commenti e ringrazio. Non entro nel merito di ognuno, limitandomi ad alcune precisazioni:
    1) oggi non vi è alcuna garanzia di equivalenza tra ciò che siamo obbligati a dare tasse) e ciò che ci viene dato in cambio (prestazioni), a differenza di quanto avviene per gli scambi di mercato; quando andiamo al (super)mercato prima scegliamo poi paghiamo, invece quando andiamo al ‘negozio’ di stato paghiamo prima di entrare (e anche se non entriamo), qualcuno riempie il nostro carrello al nostro posto e quando siamo usciti scopriamo che il valore del carrello è molto inferiore a quello che abbiamo pagato e il suo contenuto non corrisponde a quanto ci serviva; si tratterebbe allora di adottare per i negozi di stato lo stesso principio: nessun problema se il negoziante è pubblico ma almeno ci venga data la possibilità di scegliere, di contrattare e di pagare solo se decidiamo di comperare; trasformiamo almeno una parte delle imposte in tariffe/prezzi e usiamole per finanziare i servizi pubblici a domanda individuale mettendo in concorrenza i differenti produttori pubblici (premi assicurativi per previdenza e sanità, quote di iscrizione per istruzione e università, tariffe per l’uso delle strade senza pedaggio al posto delle accise sulle benzine);
    2) la soluzione precedente, che abbisogna di agenzie di regolazione non governative, avrebbe il merito di sottrarre molte risorse all’intermediazione della classe politica, di accrescere efficienza e qualità delle produzioni pubbliche, di ridurre la pressione fiscale;
    3) l’organizzazione tramite amm. pubbliche resterebbe solo per la produzione di atti amministrativi e di beni pubblici, a livello centrale e locale;
    4) riguardo ai livelli territoriali di governo, i comuni sono troppi, le province inutili, molte regioni troppo piccole: bisognerebbe creare macroregioni (tra 5 e 10), abolire le province, accorpare i comuni sotto i 10 mila abitanti ma anche ridurre drasticamente i componenti dei pletorici consigli (spesso e volentieri veri e propri parlamentini) e rendere non più remunerata la funzione di consigliere (così evitiamo di coltivare politici di professione).

  13. Fabrizio Manso

    @Marco da Osimo
    Carissimo Marco, è proprio sicuro che uno stato che spenda meno, che sprechi meno, che sia più equo ed efficiente e che faccia un sostanziale pareggio di bilancio sia un’idea minoritaria in Italia?
    Io, contrariamente a Lei e a Giannino, non ne sono per niente sicuro. Credo semplicemente che non se ne parli. Il dibattitto è da anni incentrato su altre questioni e i nostri politici (tutti, nessuno escluso) non trattano l’argomento che per loro sarebbe pericolosissimo. Si getta fumo negli occhi alla gente parlando perennemente degli evasori, ma mai dei politici, loro sono rigorosissimi nel contenere le spese (sic!) mentre i grandi giornali e la TV a me sembrano molto molto tiepidi nel chiedere conto ai politici delle loro responsabilità nella gestione disastrosa dei nostri soldi. Mi dilungo un momento solo: recentemente ho letto un sondaggio dell’agenzia delle entrate (non sono sicurissimo che fosse l’genzia delle entrate, ma poco cambia) in merito a quale fosse la tassa ritenuta più ingiusta dagli italiani, la risposta è stata: canone RAI. La mia domanda allora è: ma gli italiani sanno cos’è l’IRAP? sanno come è calcolata? sanno quanto incide in termini di distorsione del mercato? Non lo sanno, ne sono certo: non lo sanno. Manca la consapevolezza del problema. Più se ne parla meglio è. Speriamo…

  14. Roberto Boschi

    Condivido molte delle osservazioni del prof. Arrigo, anche se i risultati della “cura” così radicale da lui proposta potrebbero essere progressivamente raggiunti anche con una riforma incisiva della pubblica amministrazione. Cosa impedisce di metterci mano? credo sia il non adeguato funzionamento del “mercato della Politica”. Chiunque proponesse una drastica riduzione della “Cosa pubblica” per recuperare efficienza e ridurre le spese, saprebbe di andare incontro ad una quasi rivolta popolare da parte di tutti coloro che vivono di lavoro pubblico e, conseguentemente, si avvierebbe ad una quasi certa sconfitta elettorale. Un semplice esempio può far capire meglio: la mobilità fra le amministrazioni locali. Io vivo in un comune dell’interland di Firenze, 19.000 abitanti, 123 dipendenti comunali. Non sò se sono pochi o molti (per i servizi da erogare), però il rapporto dipendenti su popolazione residente è, ad oggi, più della la metà di quello di Firenze. Ammettiamo pure che il Capoluogo di provincia abbia necessità superiori per i flussi giornalieri in entrata, il turismo, ecc: quanto carico di lavoro può valere questo “maggio onere”?, 1/4?, 1/3 in più del mio Comune? Bene, anche ammettendo questo, Firenze potrebbe fare a meno dai 500 ai 1.000 dipendenti affinché la “produttività” sia uguale a quella del mio Comune e, da cittadino, perché la “qualità attesa” dalle due amministarzioni sia uguale.
    Ecco: basterebbe una semplice, modesta mobilità per riequilibrare le cose, così facendo si eviterebbe il reintegro di dipendenti per i (molti) anni a venire dovuto al tourn over in uscita, e si ridurrebero le spese perseguendo, nello stesso tempo, equità fra cittadini di due territori limitrofi. Proviamo ad applicare questa semplice regola a tutti gli Enti Territoriali, aggiungendo semplificazione e redistribuzione di compiti/competenze (con conseguente soppressione di livelli tipo le Provincie o accorpamento di Comuni) e proviamo a immaginare cosa succederebbe alla spesa di funzionamento della P.A.: altro che contenimento, avremmo, ne sono più che sicuro, una riduzione drastica e permanente!
    Perché non si prende neppure in considerazione una ipotesi del genere? E’ forse troppo “semplice”? Oppure è solo terrificante la prospettiva di “perdita di consenso” che ne scaturirebbe fra tutti coloro che ne sarebbero coinvolti? Senza contare la diminuzione delle potenziali clientele, ecc, ecc?

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