Parlando di Sanità
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Mario Strazzabosco.
In quest’epoca di paradossi può non stupire che al trionfo della scienza medica corrisponda il fallimento su scala globale dei sistemi sanitari, siano essi di tipo universalistico e pubblico, che privati o misti. In larghe parti del globo un moderno sistema sanitario non è neppure presente.
La scienza medica produce innovazioni a ritmo serrato, aumentando di continuo le possibilità terapeutiche per innumerevoli condizioni morbose, ma i sistemi sanitari non sanno come rendere disponibili queste innovazioni a tutti coloro che ne hanno bisogno e la disparità nell’ accesso alle cure è in costante aumento. Come dice Harlan Krumholtz: ‘inventare modi per migliorare la”care delivery” è altrettanto importante di scoprire nuove tecnologie”.
Per esempio, la Medicina degli Stati Uniti è tecnologicamente e scientificamente tra le più avanzate del mondo, ma il suo sistema sanitario lascia troppi cittadini non assicurati o male assicurati. In questo contesto, ha destato grande impressione il recente assassinio di un dirigente di una assicurazione sanitaria americana; l’opinione pubblica ha condannato il gesto, però……! Nel frattempo, a casa nostra, in un sistema sanitario fortemente diverso, infermieri e medici di pronto soccorso vengono malmenati da pazienti o parenti, malgrado si sottopongano a turni massacranti e scarsamente remunerati, cercando di coprire il divario tra quanto i cittadini si aspettano e quanto il sistema può fornire dopo due decadi in cui si sono operati tagli di risorse secondo un criterio lineare, senza che il processo decisionale fosse informato da un’analisi oggettiva del rapporto risultato/costo necessario per ottenerli (detto Valore).
La mancata analisi del Valore delle scelte è una delle cause dell’ attuale dissesto. Anziché usare il Valore (intendendosi il Valore per il paziente) come bussola per guidare le decisioni, negli ultimi 20 anni, i governi si sono concentrati sulla riduzione dei costi (che spesso significa riduzione delle risorse, invece che ottimizzazione delle risorse) senza tenere conto del loro impatto sui risultati sanitari. Le spese sanitarie sono state tagliate nella speranza che l’impatto sulla salute sarebbe apparso stabile nell’immediato, mentre l’impatto sulla qualità e sui risultati si sarebbe, forse ed eventualmente, fatto sentire solo in un lontano futuro. Il risultato di questa “cultura del taglio” è stato che il numero di posti letto per pazienti ricoverati e in terapia intensiva sono diminuiti, come pure il numero di medici ed infermieri, complici anche 15 anni di blocco del turnover e la riduzione del numero degli specializzandi. Anche il coordinamento delle cure con il territorio è diventato a dir poco frammentario. Alla fine, il futuro è arrivato prima del previsto e il virus SARS-CoV-19 ha tragicamente dimostrato i rischi di un sottofinanziamento dell’assistenza sanitaria.
Perché parlare ancora di COVID? Perché, come disse Churchill: non si dovrebbe mai sprecare una crisi! Eppure, come anche recentemente sottolineato da altri commentatori, il sistema sanitario ha imparato poco dalla tragica esperienza della pandemia. La pandemia chiamata COVID-19 ci ha colto di sorpresa ed i sistemi sanitari non sono stati in grado di proteggere la salute della popolazione. Mentre gli ospedali erano saturi di pazienti critici, i rimedi applicati per contenere l’epidemia hanno generato gravi costi sociali ed economici dai quali stiamo ancora cercando a fatica di risollevarci. Di fronte allo stress test del COVID-19, i sistemi sanitari hanno mostrato diverse debolezze, prima tra tutte le disuguaglianze nell’accesso alle migliori cure. I cambiamenti ambientali e demografici, l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle malattie croniche, uniti all’aumento dei costi sanitari, la crisi economica, ed una interpretazione troppo rigida dei parametri economici a livello europeo, hanno creato le condizioni per una tempesta perfetta. I campanelli d’allarme non stati ascoltati, ma forse non hanno neppure suonato per l’ assenza di dati in tempo reale-
Molto si è scritto sui problemi del servizio sanitario italiano (ed in un certo senso del suo modello, l’NHS britannico). Una delle sue principali carenze è l’ insufficienza della rete delle cure primarie. Il Governo è impegnato in una riforma di questa componente essenziale del sistema, e vi sono molte buone proposte, sia organizzative che formative. Nei prossimi 5 anni 13000 medici di base su 40000 andranno in pensione e verranno sostituiti da medici più giovani. Sarebbe il momento ideale per introdurre dei cambiamenti. Il dibattito tuttavia si è perso sulla trasformazione o meno dei medici di base (che preferisco chiamare di famiglia) in dipendenti pubblici, piuttosto che privati in convenzione. È questa una falsa questione, visto che entrambe le formule possono coesistere, una volta fissati i parametri di prestazione che la salute pubblica richiede. È vero che l’attuale sistema è risultato insufficiente, e quindi un cambiamento è necessario. Ricordiamo però che di quasi 400 medici deceduti a causa della pandemia COVID, più della metà erano medici di base. Allora li chiamavamo eroi, adesso li critichiamo perché non vogliono diventare dipendenti statali.
In un recente ed interessante libro, Gabanelli e Ravizza analizzano i molti punti critici che affliggono la sanità. Anche se personalmente non sono d’accordo con alcune delle conclusioni delle autrici, è un libro che porta alla luce le dimensioni del problema e stimola importanti riflessioni. Molti autorevoli pareri sono comparsi sui media, da parte di giornalisti, economisti e medici; ben più rare sono risultate le dichiarazioni dei politici, segno che l’orizzonte delle scelte è ancora indefinito. Al di là di una difesa di principio del sistema sanitario nazionale e del suo potenziale universalismo, solo in pochi casi si tenta un’analisi oggettiva. Si preferisce invece ritornare sulla contrapposizione tra “pubblico” (il cui malpagato personale è virtuoso) e “privato” (approfittatori delle altrui disgrazie). La più recente in ordine temporale è la già ricordata discussione sullo stato giuridico del Medici di Medicina generale (privati convenzionati o Dipendenti pubblici?) In realtà i pazienti non si assistono con l’ideologia ma con scelte sanitarie appropriate, efficaci, sostenibili e di buon senso.
È innegabile che il sistema universalistico ed in particolare il nostro SSNN sia un grande elemento di civiltà ed un bene da preservare, però questo principio ideale si scontra con la realtà della sua sostenibilità economica ed organizzativa. Una serie di forze, già prima ricordate, a cui si aggiungono l’aumento del costo delle cure e dell’innovazione (di cui siamo fruitori, ma non attori), la comparsa di nuove malattie, rendono sempre più profondo il divario tra bisogni sanitari, che tendono all’infinito e le risorse che sono per definizioni finite (limitate). La partita della sostenibiità del SSN ed il futuro della salute pubblica (che non significa salute gestita dallo stato, ma stato di salute degli Italiani) si gioca all’interno di questo spazio. In realtà si può fare molto per migliorare la sostenibilità delle cure: la pandemia ci ha dimostrato che, quando necessario, e se le scelte sono orientate al pragmatismo, i sistemi sanitari possono essere estremamente adattabili e resilienti.
Nello spazio della sostenibilità vi sono aree di responsabilità diversificate. La prima area di responsabilità è a livello del governo e delle Regioni. Alla politica nazionale spetta decidere il livello di protezione della salute e come finanziarlo. Le Regioni, poi suddividono il budget assegnato centralmente, tenendo conto delle necessità locali. La spesa sanitaria in Italia nel 2023 è stata di circa 176 miliardi di euro. Lo stato stanzia 131 miliardi, il resto, circa 41 miliardi, è il cosiddetto out-of pocket (di tasca propria del cittadino) ed altri 5 miliardi sono intermediati (assicurazioni e mutue). 131 milardi equivalgono a circa il 6,2% del prodotto interno lordo (PIL) del paese. Un cifra inferiore a quella di altri grandi paesi Europei che si attestano attorno al 9,2%. Se però valutiamo la spesa totale, allora la percentuale sul PIL raggiunge i livelli europei, indicando che questo è forse il livello di finanziamento necessario. Il governo e il parlamento possono decidere di investire di più e ridurre l’out of pocket innalzando il finanziamento pubblico, ma è necessario ricordarsi che la spesa sanitaria è parte del welfare, quindi se si spende di più in sanità, altri aspetti del welfare possono soffrirne.
A valle di questo, c’é l’aspetto di erogazione delle cure, che va dalla prevenzione, alla medicina del territorio (cure primarie) alle cure Ospedaliere. Queste ultime sono erogate da Aziende Ospedaliere, che forniscono sia prestazioni per malati acuti in regime di ricovero, sia prestazioni specialistiche in regime ambulatoriale. Chiamiamo così delle organizzazioni sanitarie per lo più di diritto pubblico e più raramente privato non-profit che dovrebbero gestire pazienti con condizioni morbose ad alta complessità e proteggere contro i grandi rischi. La denominazione di Aziende è stata adottata per sottolineare la necessità di un pareggio di bilancio ed una relativa autonomia nelle scelte, ma in realtà aziende sanitarie pubbliche sono sotto stretto controllo politico. Chiunque abbia avuto ruolo manageriale in ospedali pubblici lo sa bene. Ho sentito esponenti politici sostenere che essendo la Regione “l’azionista di riferimento” dell’azienda ospedaliera, il controllo politico capillare è addirittura doveroso. Il problema è che così si crea una condizione in cui chi detiene la quota capitaria (quanto lo stato trasferisce alla regione per cittadino) e compra le prestazioni (Regione), è anche chi la eroga (Regione) e chi controlla (Regione). In questo sistema autoreferenziale, manca un effettivo controllo, svanisce la competizione e l’incentivo a raggiungere il valore ottimale delle cure.
Se chi eroga è anche chi paga ed chi controlla, l’inevitabile risultato è che l’obiettivo non è più il Valore per il paziente, ma il valore per chi paga/eroga/controlla. Altro sarebbe se le aziende sia pubbliche che private fossero libere di competere attorno al Valore per il paziente, realizzando così una competizione virtuosa. Si sente dire che la competizione in sanità porta ad un aumento delle spese. Nel caso della Value-Based Medicine, questo non è vero perché si ottiene un competizione virtuosa orientata al miglior esito aggiustato per il costo, in cui le risorse impegnate sono quelle necessarie per ottenere il risultato, né di più, ne di meno.
La proposta della “medicina basata sul valore” ridefinisce la natura della competizione nell’assistenza sanitaria e per ogni condizione clinica premia il ripristino del miglior stato di salute possibile, ottimizzando nel contempo la spesa sostenuta per generare tale risultato. Questo approccio riporta lo scopo dell’assistenza sanitaria alla sua origine (vale a dire mantenere o migliorare lo stato di salute nel senso ampio dell’OMS), aumenta il livello di protezione dei cittadini ed elimina gli sprechi, senza influire negativamente sui risultati clinici. Se il Valore per il paziente aumenta, tutti ne traggono beneficio e la sostenibilità economica della salute migliora.
Il problema è come effettuare un controllo indipendente del livello qualitativo della cure che vengono fornite e del loro valore, siano esse fornite da soggetti privati che pubblici; questo controllo deve essere non solo sui costi ma anche sulla qualità intesa in un senso più ampio, cioè non di pura adesione al parametri di processo derivati da linee guida, ma anche alla capacità di ottenere outcomes positivi e che soddisfino le aspettative del paziente. Tutto questo è ora possibile perché con la rapida e progressiva informatizzazione delle prestazioni sanitarie, la possibilità di avere dati che consentano un significativo controllo di tutto il processo e dei risultati è assolutamente alle porte. Il Ministero della Salute, con il recente “Decreto sull’Ecosistema dei dati sanitari” si sta muovendo nella giusta direzione, infatti, a misurazione e la comunicazione sistematica dei risultati è forse il singolo passo più importante di ogni riforma dell’assistenza sanitaria
Questo controllo deve essere effettuato da una agenzia indipendente.In Italia, AGENAS monitora il servizio sanitario. È importante che vi sia un Agenzia che esamina il Valore e la qualità delle cure. Questa agenzia deve essere indipendente da chi finanzia e da chi eroga, ed il suo parere dovrebbe essere determinante per le autorizzazioni e certificazioni anche nel privato, particolarmente se accreditato. Come abbiamo detto la spesa sanitaria totale si aggira sui 176 miliardi di euro. Benché di difficile stima, si calcola che vi possa essere sino a un 20% di sprechi, di varia natura. Un attento monitoraggio del Valore porterebbe ad una significativa identificazione e riduzione degli sprechi, a parità di esito delle cure. È quindi importante stanziare un budget per implementare la capacità di raccogliere dati sui costi e sugli esiti clinici in formato elettronico e senza sforzo, poiché le capacità di elaborazione per gestire i big data aumentano di giorno in giorno.
Gli scettici sostengono che l’implementazione della sanità basata sul Valore è complessa e costosa. In realtà, ci sono diversi esempi della sua applicazione in tutto il mondo e l’attuale uso diffuso delle cartelle cliniche elettroniche la faciliterà notevolmente. La risposta alla crisi ci ha mostrato che i cambiamenti possono essere rapidi, quando informati da dati affidabili in tempo reale e basati su una cooperazione aperta. Cambiamenti profondamente trasformativi sono stati implementati nel giro di poche settimane! Come scrisse Marc Harrison: “Ora che sappiamo quanto velocemente possiamo cambiare; questa è la velocità con cui cambieremo sempre”.
Mentre scrivo queste righe si consuma il dramma del possibile allentamento dei rapporti tra Europa e Stati Uniti….ci auguriamo che non succeda, ma appare inevitabile, un aumento almeno di un punto di PIL della spesa per la difesa. Da dove verranno questi miliardi di Euro? Debito Europeo (cioè li pagheranno i nostri nipoti) ? Tagli al welfare e quindi anche alla sanità? Il futuro forse vedrà ancor più la necessità di massimizzare il Valore degli interventi sanitari e probabilmente un aumento sorvegliato della partecipazione privata alla spesa. Ma forse più che di riarmo, dovremmo parlare di ripresa di competitività (vedasi rapporto Draghi) ed investire su questo, in quanto vi sono paesi armati fino ai denti, ma non competitivi……