Dai dazi alla guerra
Quando il gioco degli interessi si fa duro (e globale) sono gli Stati a giocare
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Dario Ciccarelli
Lo fai tu? No, tu no. Lo faccio io? No, io no. Allora non lo facciamo, punto! I non-addetti ai lavori faticheranno a crederci, forse anche a comprendere. Eppure c’è un problema “tecnico” che impedisce alle popolazioni di Germania, Francia, Italia, Grecia, etc. di giocare il gioco della partita globale. Partiamo dalla fine, giacché di quanto sta accadendo da mesi in Ucraina, in Medio Oriente, a Washington e in Vaticano, sono tutti, più o meno, al corrente.
L’8 maggio scorso il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno sottoscritto un “accordo commerciale storico, che fornisce alle aziende americane un accesso senza precedenti ai mercati del Regno Unito, rafforzando al contempo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti” (Fact sheet: US -UK reach historical trade deal, fonte: “The White House”). Pochi giorni dopo, il 12 maggio “il presidente Donald J. Trump ha raggiunto un accordo con la Cina per ridurre i dazi cinesi ed eliminare le misure di ritorsione, mantenere una tariffa di base sulla Cina e definire un percorso per future discussioni volte ad aprire l’accesso al mercato per le esportazioni americane” (fonte: “The White House”).
Domanda n. 1: quelli sottoscritti dagli USA con Regno Unito e Cina sono accordi “commerciali”? Risposta: certo che sì. Domanda n. 2: si tratta di accordi “esclusivamente commerciali”? Risposta: certo che no.
Queste “sottigliezze” definitorie non hanno alcuna rilevanza a Londra, a Washington, a Pechino (come pure a Mosca, al Cairo o a Tokyo). In Europa, invece, dove vige la diabolica (diabolos=divisione) divisione di competenze tra Stati e Commissione Europea, la “classificazione” diventa cruciale.
Domanda zero: chi, per conto degli italiani o dei tedeschi, potrebbe sottoscrivere analogo accordo con gli USA? Risposta zero: nessuno, ahinoi.
Non li sottoscrivono, per ora, i singoli Stati europei, perché si sentono, per ora, vincolati ai Trattati europei, i quali affermano che la politica commerciale è di competenza esclusiva della Commissione Europea. Non li sottoscrive, né potrebbe negoziarli, nemmeno la Commissione Europea; la quale, ovviamente e notoriamente, non avendo né un popolo né una nazione dietro di sé, non ha alcun titolo per esprimersi su quelle dimensioni (militare, ideologica, religiosa, sicurezza, morale, etc.) che sono tipiche della politica e che le sono quindi ontologicamente estranee.
(Di fatto, a tutt’oggi nessuno sa cosa sia esattamente l’Europa e questo permette a chiunque di interpretarla come vuole e di allargarla non si sa fino a dove. Ecco perché l’Europa è un bluff. Non c’è nulla di misterioso in questo. Basta pensare a come è nata per comprendere per quale ragione l’Europa non è mai diventata un vero soggetto politico. Quando qualche importante personalità viene in Europa non va mai a parlare con il presidente del Consiglio europeo o il presidente della Commissione, ma si reca direttamente dai singoli capi di Stato, Lucio Caracciolo, direttore Limes, 15 marzo 2024, www.sussidiarieta.net/cn4151/l-europa-e-un-bluff-caracciolo-via-quel-punto-interrogativo.html).
Nel tempo della “guerra mondiale a pezzi”, il problema “UE” sta diventando sempre più vistoso e drammatico. Ma, bisogna precisare, tale problema non è affatto recente. Quando si trattò di sottoscrivere, nel 1994, a Marrakech, il Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, si dovette infatti ricorrere ad una pesante forzatura per consentire all’Unione Europea di firmare anch’essa, oltre agli Stati, il Trattato e di divenire anch’essa, accanto agli Stati, membro della nuova Organizzazione.
La forzatura servì tuttavia per eludere la questione, non per risolverla. Da 30 anni – da quando cioè esiste l’Organizzazione Mondiale del Commercio – persiste una drammatica ambiguità circa la definizione del soggetto istituzionale (la Commissione UE? Il singolo governo nazionale?) che ha la responsabilità di rappresentare i popoli europei e di votare per loro conto quando si tratta di bilanciare commercio e salute, commercio e morale pubblica, commercio e sicurezza nazionale.
Costantemente la questione si ripropone, nella realtà, qua e là, anche se mai su di essa si posano microfoni e telecamere, anche se mai su di essa ci si sofferma in chiave di analisi storico-giuridico-istituzionale. Nel redigere, nel 2005, la sentenza che risolveva, a Ginevra, presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (dove la religione europeista non ha molti adepti e dove, al contrario, domina la nobile disciplina del diritto), il contenzioso in materia di Indicazioni geografiche e “made in” (DS 174) tra USA ed Unione Europea, i giudici OMC dovettero interrogarsi circa la natura istituzionale dell’Unione Europea e dovettero riconoscere a pag. 49 (paragraph 7.159) che “The European Communities is not a State” e a pag. 50 (paragrafo 7.160) che “The European Communities is not a country“.
La questione si ripropone, costantemente; “qua e là”, si è detto. Molti ricorderanno che nel 2022 il presidente della Turchia, Erdogan, non consentì alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di sedere di fronte a lui: sfrondando dalle inutili e fuorvianti narrazioni orientate al gossip, la verità è che con quel gesto il presidente turco, semplicemente e correttamente, non riconobbe alla presidente della Commissione Europea il rango di capo di governo, in tal modo esprimendo verso i popoli europei e verso il diritto un rispetto ed una premura di cui nell’Europa drogata dall’ideologia europeista purtroppo non si trova più traccia.
“Il problema c’è ed è grande. Non servono gli espedienti volti a rinviarlo … Non serve eluderlo. Serve invece affrontarlo, con serenità: quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla” (Dario Ciccarelli, “Il dualismo tra UE e WTO rallenta il mercato globale”, 29 gennaio 2008, Il Sole 24 ore).
Dario Ciccarelli è autore de Il Bandolo dell’euromatassa. E’ stata l’Organizzazione Mondiale del Commercio ad annientare l’Unione Europea (ed. Il Giglio, Napoli, 2014)