Quel malato rapporto fra Stato e individuo
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Mario Gambilare
Terminologicamente, c’era qualcosa che non quadrava fin dall’inizio del delirio “gestione-pandemia”, nell’approccio con cui lo Stato trattava il rapporto tra sé medesimo e i propri contribuenti, in questo caso esercenti. Si riferiva ai famosi €600, infatti, in termini di bonus, espressione la cui connotazione premiativa veniva acuita da parte dei media ricorrendo ad “aiuto”. Se, poi, si verifica sul sito dell’INPS, ente erogatore ufficiale, si parla di “indennità”; da un punto di vista civilistico, trattasi quest’ultima del “corrispettivo, diverso dal risarcimento, erogato al soggetto che ha subìto un danno, indipendentemente da ogni accertamento di colpa”. Ma perché, nella circostanza in questione, mi chiedo io, non dovremmo parlare, invece, proprio di risarcimento, posto che il soggetto, identificato nel legislatore, la cui colpa è del tutto accertata, c’è ed esiste? E qualcuno mi smentisca se dico che non mi risulta che il barista dell’angolo abbia deliberato motu proprio di chiudere per tre mesi i battenti, per poi riaprirli a coperti dimezzati, per di più mascherato.
Tale esercizio, apparentemente dialettico, non è fine a sé stesso ma mi conduce all’oggi, quando, finalmente, sento mormorare di “ripresa”. Poi alzo gli occhi al cielo per pensare, e mi rendo conto che questo paese, pur possedendo il fiore del capitale umano e materiale, non ce la potrà fare.
Se c’è una cosa relativa al COVID su cui tutti o quasi concordano è che abbia lasciato dietro di sé conseguenze economiche tragiche, potenzialmente devastanti. Ma un convinto liberale, come chi scrive, si accorge anche di altro. In primis, il lockdown, che non è piovuto dal cielo e non è stato un effetto collaterale del virus, bensì un vero e proprio atto coercitivo, ha reso palese che l’intervento dello stato, di qualsivoglia natura e spinto da qualsivoglia proposito, sul mercato aggrava l’ingranaggio, magari messo sì alla prova da un evento avverso e inaspettato, ma perfettamente oliato che lo costituisce. In secundis, una volta finito il lockdown, e qui vengo alla “questione ripresa”, delle famose fasi “due, tre, quattro e centomila” si ragiona in modo contrario rispetto a come sarebbe utile farlo, rincorrendo e riconfermando quel malato rapporto stato-individuo del quale da anni è vittima l’Italia e l’esercizio iniziale è solo un esempio.
Come sempre, ed è diventato davvero frustrante e stucchevole, si tenta disperatamente, dopo aver rigirato per bene i fatti come un calzino, di appioppare una qualche forma di responsabilità al comportamento dell’uomo, alla tipologia di sviluppo industriale che ha perseguito, all’Occidente e così di seguito. E allora via libera a frasi come: “Almeno della chiusura delle fabbriche ha beneficiato il clima” e “Speriamo di aver imparato la lezione”, frasi che provano a legittimare una direzione di policy che sarà intrapresa, per l’ennesima volta, in questo senso, con limiti, blocchi e orpelli vari. La lezione che lo stato doveva imparare, a mio avviso, è esattamente alla rovescia, cioè che più si defila dalle questioni economiche e distanziamenti sociali vari, meglio è. E invece, la prima legge non ad oggetto-coronavirus di cui sento parlare è il Decreto fiscale collegato alla manovra di bilancio. “Benissimo!”, mi dico. “Tratterà di riduzioni di imposte o agevolazioni!”. A pensar bene, però, non si indovina: tetto al contante a €2000 dal 1° luglio e a €1000 dal 2022; ancora limiti, blocchi, orpelli.
C’è dell’altro che, a questo punto, mi preoccupa: se da un lato il decisore politico ha sempre fatto il contrario di quello che andava fatto, aggiungendo autorità e controlli per combattere la corruzione, anziché sburocratizzare e commissariare, tassando gli armatori di yacht per incrementare il gettito anziché incentivarli ad arrivare nei nostri porti, magno cum gaudio di Francia e Croazia, dall’altra, gran parte dell’opinione pubblica ha tacitamente acconsentito a tali intrusioni. “Posta al calduccio di qualche ente inutile?”, “Invidiosa socialmente?” Montanelli diceva: “quando un italiano vede passare una macchina di lusso, il suo primo stimolo non è averne una anche lui, ma tagliarle le gomme”, come dargli torto. Me ne accorgo io, nel mio piccolo, quando vedo, nei luoghi pubblici, i nuovi delatori della mascherina che ringhiano se vedono qualche naso scoperto.
Ciò che sostengo non è per mero filosofeggiare ma perché in una congiuntura in cui servono stimoli e idee, e queste, fino a prova contraria, sono partorite dagli individui e non dagli stati, agli individui vanno date le migliori condizioni per operare. La Dichiarazione d’Indipendenza Americana sancisce che “tutti gli uomini sono stati dotati di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità; allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi”, gli inglesi scrivono “stato” con la “s” minuscola e “Individuo” con la “I” maiuscola, valorizzandolo. Facciamo tesoro sì delle lezioni, ma dai giusti maestri. Approfittiamo sì di questo momento, non per le solite melasse, ma per cancellare e riscrivere tutto da capo, a partire dalla nostra Costituzione che forse non è la più bella del mondo.
Ottime considerazioni!
La stessa espressione corrente “crisi economica causata dall’epidemia”, o a essa conseguente, è ingannevole perché la crisi è dovuta alle scelte politiche. Ognuno può pensare che queste fossero inevitabili o meno, ma attribuire le conseguenze a un virus serve solo a negare le responsabilità.
Purtroppo la cosa sfugge anche ai più critici.