29
Lug
2014

La cultura dell’analisi di impatto giova alla cultura (prima parte).

La precaria condizione delle finanze dello Stato e, di conseguenza, l’ammontare minore di fondi da esso destinato al settore culturale rende attualmente oltremodo necessario l’intervento dei privati a sostegno del patrimonio del Paese.

 

Il decreto c.d. art bonus, convertito in legge di recente, sembra prenderne atto e, che si condividano o meno le misure ivi previste, testimonia che molto sentita è la necessità di attrarre investimenti nel settore suddetto. Tuttavia, come già rilevato, sarebbe stato funzionale all’obiettivo prefissato considerare, oltre alle erogazioni liberali, altresì le sponsorizzazioni culturali, strumenti essenziali al fine di convogliare risorse indispensabili all’arte. I privati che ricorrono a queste ultime – come pure a eventi organizzati talora in proprio, quali musei d’impresa e produzioni in house – intendono per lo più ottenere un ritorno in termini di visibilità del marchio, nonché di reputazione aziendale, come una ricerca sull’argomento dimostra: quindi, se ne avvalgono come modalità ulteriori, rispetto a quelle tradizionali, attraverso cui realizzare la comunicazione istituzionale, associando il proprio brand ai valori inscindibilmente connessi all’arte e attribuendo così a esso un valore aggiunto. Dunque, stante la mancanza di risorse pubbliche sufficienti per l’ambito in discorso, da una parte, e la necessità di efficaci canali atti a evidenziare l’immagine aziendale, dall’altra, la “cultura” può divenire terreno di incontro e collaborazione proficua tra pubblico e privato, nel perseguimento di interessi diversi, ma convergenti verso una direzione unitaria. L’intervento dell’impresa a supporto del patrimonio artistico nazionale, in passato effettuato in modo disinteressato, ora assume il rilievo di un vero e proprio investimento, idoneo a recare utilità a chi lo compia, così come all’istituzione pubblica e alla collettività nel suo complesso. Esso va, dunque, considerato non come un’elemosina o una qualche altra forma consolatoria del vivere civile”, bensì come un’attività della quale debbano essere ponderati i costi e i benefici, alla stregua di ogni altro tipo di impiego di risorse. E’, pertanto, necessario che, mediante gli indicatori più chiari e adeguati, vengano rilevati i vantaggi derivanti a tutte le categorie di soggetti coinvolti, permettendo loro di operare le scelte migliori: affinché il “giacimento culturale” del Paese possa rendere in modo soddisfacente, esigenza fondamentale data anche la situazione economica attuale, il quantum deve essere stimabile nei termini più precisi. Da ciò discende l’importanza della misurazione dell’impatto dell’investimento nel settore considerato, sia per il soggetto privato che l’ha realizzato, allo scopo di giudicarne la convenienza, l’efficienza e l’efficacia in relazione ai fini perseguiti, “come una qualsiasi azione facente parte di una strategia”; sia per l’amministrazione ricevente e, più in generale, per lo Stato che, posto in condizione di valutarne le ricadute – dirette, indirette e indotte, non solo nel territorio di riferimento, ma altresì nell’economia nazionale – può eventualmente incentivare l’utilizzo degli strumenti di finanziamento di cui i privati si siano avvalsi. Dunque, perché l’investimento in cultura sia valorizzato in tutta la sua portata, occorre prima valorizzare la cultura dell’analisi di impatto, adottando pure nell’ambito in argomento la “misurazione” degli effetti quale metodo abituale. Quest’ultimo è essenziale al fine di consentire nella maniera più efficace – data anche l’attenzione dei finanziatori privati business-oriented a numeri, cifre e ritorni attesi a seguito degli impieghi compiuti – la confrontabilità̀ delle proposte, il monitoraggio degli obiettivi, la pianificazione dell’allocazione delle risorse, nonché la valutazione a posteriori dei risultati degli investimenti.

 

Per le imprese la misurazione suddetta, volta soprattutto a stimare il ritorno di immagine e l’apprezzamento scaturente dall’apporto fornito all’arte, è oggi ancora più importante che in passato, considerata la circostanza che esse sono molto attente all’utilizzo delle proprie disponibilità finanziarie, non solo a causa della situazione di crisi perdurante, ma altresì in vista dell’eventuale impiego nelle stesse modalità, se proficue, di fondi ulteriori. Poiché l’intervento privato in materia culturale non si fonda in via necessaria ed esclusiva su istanze filantropiche, come sopra accennato, bensì soprattutto sull’esigenza di acquisire, mediante la visibilità del marchio e il miglioramento della reputazione aziendale, un vantaggio competitivo nei riguardi dei propri concorrenti, è necessario che quest’ultimo sia rilevabile quanto più esattamente: in questo modo, l’impresa può ponderare l’efficacia delle politiche di comunicazione realizzate mediante l’azione intrapresa nel settore considerato. Inoltre, non solo nell’ambito in discorso, ma in qualunque altro nel quale operino soggetti pubblici e privati la cui attività coinvolga interessi diversi e di rilevanza collettiva, appare sempre più sentita l’esigenza di trasparenza: la valutazione dei risultati prodotti nel sistema culturale può, quindi, servire a chi variamente lo supporti al fine di sostanziare con argomenti accertabili e dati concreti la propria accountability nei riguardi della comunità di riferimento,anche ai fini della c.d. responsabilità sociale. “Le imprese possono infatti usare i propri investimenti culturali e sociali con lo scopo di migliorare il proprio contesto competitivo, ossia la qualità dell’ambiente imprenditoriale nella loro location o nei luoghi in cui operano. Se questi investimenti culturali vengono utilizzati per arricchire il proprio contesto socio-economico possono essere raggiunti assieme obiettivi economici e culturali”. Pertanto, la stima dei risultati raggiunti mediante le risorse così usate è anche a tal fine basilare.

 

Posto, dunque, che l’analisi di impatto è strumento indispensabile pure nel settore culturale, occorre sottolineare come i criteri da utilizzare nella misurazione dei risultati raggiunti debbano essere necessariamente elaborati in conformità agli scopi che ogni impresa si prefigge. In particolare, se per quelle “che investono in cultura la visibilità del marchio, la creazione di contatti diretti e di relazioni, la variazione della reputazione e dell’immagine sono di gran lunga più importanti della variazione delle vendite”, appare palese che l’accertamento del volume di queste ultime o di elementi similari non può costituire l’unico mezzo adoperato allo scopo di acquisire dati sul ritorno dell’investimento. La ricerca sopra richiamata, tra l’altro, sottolinea come gli indicatori di norma più adottati al fine di verificare gli effetti ottenuti mediante il finanziamento all’arte siano volti a conteggiare il numero di soggetti presenti a un certo evento culturale o quelli raggiunti dai messaggi offerti al riguardo dai mezzi di comunicazione, calcolando al contempo il livello di interesse e di attenzione dagli stessi dimostrato, mediante le tecniche all’uopo in uso. Tali parametri, di reperibilità e riscontro relativamente agevole, tuttavia non forniscono alcuna evidenza circa l’eventuale variazione derivante alla reputazione dell’impresa quale conseguenza del sostegno da essa recato all’ambito in discorso. Poiché si tratta di un fattore per quest’ultima determinante, servono indicatori di efficacia diversi, atti a consentire di giudicare altresì quanto l’apprezzamento dell’immagine aziendale sia risultato rafforzato dall’apporto conferito e, dunque, idonei a fornire elementi di valutazione circa l’impatto da esso prodotto anche sotto detto aspetto: a tal fine, ad esempio, occorre stimare la percezione, sotto il profilo cognitivo/comportamentale, che l’iniziativa stessa ha suscitato nella collettività di riferimento, tra l’altro, mediante indagini, interviste e questionari rivolti agli stakeholder. E’, dunque, essenziale pervenire all’elaborazione di parametri più estesi, innovativi e articolati rispetto a quelli tradizionali, che permettano di misurare gli effetti dell’investimento, in relazione all’entità dello stesso e in un dato arco temporale, non solo in termini di efficienza, ma altresì di efficacia, intesa come variegata “attrattività” – anche emozionale – che esso riesca a indurre nei riguardi del suo autore: è un risultato che concorre alla valutazione delle politiche adottate per veicolare la comunicazione aziendale. Potrebbe obiettarsi che, pure in mancanza di precisi criteri di rilevazione, i vantaggi promozionali derivanti alle imprese dall’erogazione di finanziamenti all’arte sarebbero comunque intuitivi. Tuttavia, la ricerca citata evidenzia come la scarsa conoscenza dei benefici che esse possono trarre dall’impiego di risorse nel sistema culturale può indurle a non ritenere utile realizzarlo. Dunque, quantificare nella maniera più esatta ed evidente gli effetti scaturenti da tale impiego, alla stregua di quanto è d’uso fare per quelli operati in ambiti diversi, può risultare funzionale a incentivarne il ricorso da parte delle aziende che non siano in grado altrimenti di cogliere i vantaggi a esso correlati: una maggiore comprensione circa il “valore” che esse possono ricavarne è, pertanto, quanto mai importante. Al riguardo, proposte chiare ed esaustive provenienti dagli operatori culturali, capaci di offrire contezza dei benefici che potranno discendere dall’apporto di fondi al settore, potrebbero indurre le imprese a superare eventuali resistenze. Inoltre, poiché la verifica dei risultati ottenuti secondo sistemi professionali rappresenta un costo ulteriore che esse non sempre sono disponibili a sostenere, anche per questo motivo il supporto loro fornito da parte degli operatori è essenziale. Non basta più, dunque, che questi ultimi si appellino alla generosità degli imprenditori per ottenere finanziamenti all’arte: occorre che ne stimolino gli investimenti in modo adeguato, approfondendo le istanze manifestate e prospettando le iniziative più idonee a soddisfarle; sviluppino nuove specifiche competenze atte a consentire a tali soggetti di giudicarne a priori i benefici connessi; li mettano in condizione di monitorare l’andamento delle azioni in corso e delle strategie intraprese; infine, forniscano con trasparente evidenza i risultati relativi al ritorno di immagine e di reputazione ottenuto, mediante buone pratiche di rendicontazione.

 

La stima degli effetti provocati da determinati impieghi di fondi, in quanto funzionale alla decisione di utilizzarne altri analogamente, come detto, è necessaria anche ai fini della pianificabilità degli interventi nel settore: del resto, l’analisi e la verifica di impatto sono tra loro inscindibilmente correlate. “Le scelte di investimento in cultura privilegiano progetti e rapporti continuativi, dove l’impresa abbia modo e tempo di costruirsi e rafforzare un proprio ruolo addirittura ‘autorale’, ovvero dove si partecipa insieme all’operatore culturale alle scelte di contenuto, o di parti di esso”. A tale fine, pertanto, risulta importante siano organizzate occasioni di contatto, ove i soggetti interessati possano incontrarsi e porre a confronto le rispettive esigenze, nonché le aspettative connesse ad attività di sostegno all’arte. Da quanto sopra esposto, può quindi concludersi che, per ottenere valore aggiunto, in termini di risorse apportate da soggetti privati, la cultura, deve essere in grado di dimostrare a propria volta il valore di cui è dotata, non in astratto, bensì sulla base di “processi rigorosi e metodologicamente validi di valutazione”.

 

Le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono in alcun modo l’ente di appartenenza (Consob).

 

 

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