24
Lug
2014

Equo compenso: Apple svela il trucco

La campagna di comunicazione orchestrata dal ministro Franceschini, in perfetta consonanza con le pretese della Siae, a margine dell’approvazione del decreto del 20 giugno che ha rimodulato – nemmeno a dirlo, al rialzo – le tariffe del cosiddetto equo compenso per copia privata, si fondava su due presupposti. Primo: che il livello assoluto del prelievo italiano andasse adeguato a una più generosa media europea – opinione che poteva essere puntellata solo da una ricostruzione fuorviante e opportunistica dei numeri ed è stata immediatamente demolita. Secondo: che gli aumenti potessero essere assorbiti interamente dai produttori – previsione prontamente ridicolizzata da chiunque avesse un’infarinatura della teoria dell’incidenza dell’imposta, ma non ancora sconfessata plasticamente dai fatti.
Fino a ieri, cioè, quando Apple ha annunciato un aggiornamento dei listini che incorpora al centesimo i rincari disposti dal ministro: quello stesso ministro che poche settimane fa, audito dal parlamento, aveva spergiurato – esibendo teatralmente il proprio iPhone – che i consumatori non sarebbero stati colpiti dal provvedimento. E, del resto, davvero non si capisce perché dovrebbe essere così. La facoltà di estrarre, per uso personale, copia di un contenuto legittimamente acquistato è attribuita ai consumatori; e, se ad essa accede una forma di compensazione a beneficio degli autori, appare naturale che siano gli stessi consumatori a reggerne l’onere. In quest’ottica, il ruolo dei produttori di dispositivi di memorizzazione è sostanzialmente quello di sostituti d’imposta, che di per sé giustifica (sul piano normativo, se non anche su quello positivo) l’integrale traslazione a valle dell’imposta. Pretendere di addossare il tributo ai produttori non è soltanto una castroneria dal punto di vista economico, ma anche una conclusione del tutto incoerente con l’impianto dell’istituto del cosiddetto equo compenso.
Difficile ammettere che osservazioni tanto elementari siano sfuggite al ministro e ai suoi collaboratori. Il senso di quelle affermazioni è, invece, un altro: non potendo invocare un alibi, i protagonisti della vicenda – il ministro, ma anche la stessa Siae, che all’elaborazione del provvedimento ha partecipato sin troppo da vicino – hanno cercato di addebitare ad altri la responsabilità del misfatto. Non a chi ha messo a punto le nuove tariffe, né a chi ne incamera i benefici: bensì a chi ha rifiutato di accollarsele non avendo alcun obbligo (o alcun motivo) di farlo.
Difendendo legittimamente i propri margini, Apple ha scommesso sulla rigidità della domanda dei propri prodotti, decisione industriale che sarebbe improprio caricare di valenza politica; e, così facendo, ha svelato il trucco del mago Franceschini: peraltro, limitandosi a seguire la via della trasparenza già tracciata dall’Antitrust, che – nell’ambito della propria segnalazione al parlamento ai fini della predisposizione della legge annuale sulla concorrenza – ha caldeggiato l’introduzione di un obbligo d’indicazione espressa dell’ammontare dell’equo compenso, altrimenti indistinguibile dal prezzo dei prodotti soggetti al prelievo.
Le reazioni scomposte del partito dell’equo compenso dovrebbero far riflettere: è accettabile che un’azienda che ha avuto l’ardire di stabilire autonomamente i prezzi dei propri prodotti sia presa di mira dalla politica con dichiarazioni smisurate e persino con “minacce esplicite di ritorsione fiscale”? Ancor più incredibile il contropiede annunciato dalla Siae, che si ripromette di trasformarsi in rivenditore di telefoni, dedicandosi all’arbitraggio sui prezzi dei terminali Apple. Rallegra che, dal fortino inattaccabile del proprio monopolio, l’ente scopra i valori della concorrenza e dell’unificazione dei mercati: ma questi pruriti imprenditoriali tanto estranei alla sua missione dimostrano, meglio di mille editoriali, che la Siae non ha bisogno dell’equo compenso extralarge per prosperare.

@masstrovato

3 Responses

  1. Paolo Laires

    Davvero incredibile questa purtroppo ordinaria storia italiana, dove anche i ministri di quello che dovrebbe essere un governo “nuovo” sono talvolta peggio di quelli vecchi; e comunque anche questa è un’altra conferma che tra i politici e i loro amici, in Italia, l’ideologia batte sempre la ragione.
    Quando ieri sera ho letto su alcuni tweet il comunicato della SIAE, ho pensato ad una bufala, e l’ho anche scritto. Parole come “proditoria indicazione”, “scorrettezza del colosso americano”, “ingiustificata depredazione”, e soprattutto la proposta di “vendere in Italia iPhone” mi sono sembrate lontane dal lessico che uno si aspetta da un ente sottoposto alla vigilanza del Consiglio dei Ministri e del MiBac; e vista anche la mancanza del comunicato nella sezione “press” del loro sito, ieri sera prima ho cercato l’ufficio stampa al telefono, ma ormai era tardi, e poi ho scritto una mail per avere delucidazioni. Stamattina, alle 8.47 (qualcuno a Roma lavora presto, quindi!) la gentilissima signora Grifone, dell’Ufficio Stampa Siae, mi ha confermato la autenticità del comunicato: sono rimasto davvero basito. Ho quindi richiesto, visto che è citata nel comunicato, di conoscere la “tabella allegata”, e dopo pochi minuti la stessa signora mi ha risposto “scusandosi per l’inconveniente”, allegandomi la famosa tabella (si tratta di una comparazione dei prezzi dell’iPhone 5s 64GB in otto paesi europei fatta il 22 luglio), e comunicandomi che anche questa tabella verrà pubblicata sul loro sito (ma alle 20 ancora non c’è). In realtà avevo anche chiesto un’altra informazione: precisamente “se il contenuto di questo comunicato è una elaborazione autonoma dell’Ufficio Stampa, ovvero è espressione di uno degli Organi sociali o di amministrazione della Società, visto che non è citato alcun responsabile della sia pur molto decisa presa di posizione”. La cortese e velocissima signora Grifone non ha ritenuto di rispondere; pazienza.
    Sono certo che Apple non ignorerà questo comunicato: se qualcuno definisce “ingiustificata depredazione” una mia attività economica, una causa civile è il minimo che può aspettarsi. Sto invece verificando, con alcuni legali, se quella che, visto il contesto del comunicato, è la minaccia “di vendere in Italia iPhone ai prezzi francesi” (prezzi che sono inferiori di 27 euro, al netto dell’IVA, quindi circa il 3% del prezzo finale di un 5s), fatta oltretutto da un ente non commerciale, integri gli estremi di un reato penale, ad esempio il 501cp, aggiotaggio, commesso da chi “pubblica notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci”. E speriamo dopo di non scoprire, come spesso accade da noi, che l’unico responsabile è un oscuro addetto all’Ufficio Stampa, e che nessuno al vertice della Siae ne sapeva niente.

  2. criraf

    Come al solito la politica mette le tasse e le colpe sono degli altri che lo hanno evidenziato.
    Almeno per questa tassa abbiamo 2 nomi da ringraziare: Franceschini e la la SIAE.
    Chiarissimo.
    Ennesima tassa del governo Renzi, a quando i tagli promessi con la spending review?

  3. Lorenzo

    Inutile giraci attorno. L’unico scopo anche di questo governo è racimolare soldi. Il più delle volte si ricorre a delle illecite “presunzioni” per giustificare dei prelievi non dovuti. Pago la SIAE perchè si presume che abbia copie pirata? Benissino allora dovrei avere il diritto di copiare materiale protetto da diritti d’autore, visto che ho già pagato. Anzi, se già pago sul supporto, dovrebbe sparire del tutto il divieto di duplicazione. Altrimenti mi si costringe a pagre un … servizio vietato.
    Che la tassa la paghino i produttori (e non i clienti) fa il paio con i ribassi “vietati sugli oneri della sicurezza”, come se la cassa di un’azienda avesse compartimenti stagni… Ma per favore…
    Comunque sia solo tasse saranno finchè non si tagliano le spese, cosa che non avviene , anzi…

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